AIPO Associazione Italiana Periti Odontotecnici
AIPO Associazione Italiana Periti Odontotecnici

allergieodontotecnica

Valutazione attuale: 5 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella attiva

Rosario Muto

Metalli pesanti, ioni, ossidi di rame e alluminio usati in campo alimentare
                          o anche altro?
Parla parla ...... e solo chiacchiere.
Gli ossidi ?
Gli ossidi, biossidi, diossidi sono sempre e solo nanoparticelle di cui ionizzano, alcuni spontaneamente nell'aria, altri finiscono nei liquidi, altri finiscono negli alimenti, altri invece prodotti dalle aziende chimiche sotto forma di agenti chimici e utilizzati per scopi anti batterico anti bio.
Comunque insidiosi, tossici e soprattutto preoccupanti per le mille patologie quando finiscono nel sistema biochimico biologico umano.
Anche se la loro tossicità ormai è conosciuta da secoli, comunque l’ideologia degli scienziati analfabeti funzionali continuano imperterritamente a tutelare gli interessi di mercato ma niente a favore del benessere funzionale biologico umano.
La stessa cosa vale per il rame, l’alluminio e tanti altri ossidi.
A parte il fatto che per questioni tecniche del materiale stesso, lo ritroviamo anche in tanti altri materiali di cui la maggioranza delle persone ma soprattutto degli stessi operatori non ne sono a conoscenza, come le plastiche e le resine per protesi dentali.
La fantastica ideologia del fatto che gli ossidi diano l’effetto antibatterico, la stessa scienza dimentica che l’uomo è costituito da miliardi di batteri di cui organizzati e funzionali.
Ormai dopo le mie innumerevoli pubblicazioni e post in internet a tal proposito in relazione alla tossicità, alla definizione di bioinerte e biocompatibilità, oggi tutti parlano di metalli pesanti, di leggi e divieti ma nessuno, ma proprio nessuno ha capito un cazzo, ne è diventato esageratamente un business.
Esistono tante soluzioni per ovviare a queste problematiche ma nessuno ci vede.
A tal proposito vi mostro tutta una serie di immagini e commenti per fare capire l’uso di questi strumenti tanto utilizzati di cui spregiudicatamente pubblcizzati.

Ecco i vari commenti..... bla bla bla...........................

Provoca gravi irritazioni alla pelle e agli occhi, mentre è tossico se ingerito. Per l'Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa), può influire sulla fertilità, causare danni al feto o agli organi degli adulti dopo esposizione lunga o ripetuta.

L’Efsa: “Il verderame è tossico”. Ma nel bio italiano c’è chi non lo usa

Falso, .............non lo usa solo qualcuno che è attento e produce bio per se e la sua famiglia.

L’Efsa, l’Autorità per la sicurezza alimentare, in un recente report ha ribadito la tossicità dei pesticidi organici come il solfato di rame, ampiamente utilizzate anche nelle vigne biologiche. Come riporta il portale Euractive, l’Efsa ha considerato le informazioni disponibili nel quadro dei dati di conferma e ha concluso che “la valutazione del rischio rimane invariata e pertanto le nuove informazioni fornite non modificano la conclusione generale elaborata durante la valutazione di rinnovo dei composti di rame”.

Rinnovo sì, ma solo 5 anni

I composti del rame, compreso il solfato di rame, sono autorizzati in Europa come battericidi e fungicidi, anche in agricoltura biologica, per il trattamento delle produzione di patateuvapomodori e mele. Attualmente i composti di rame sono candidati alla sostituzione, il che significa che il rame è una sostanza “di particolare interesse per la salute pubblica o l’ambiente” e deve essere gradualmente eliminato e sostituito. A gennaio 2019 scade l’autorizzazione all’uso dei composti del rame e la Ue è intenzionata a concedere un rinnovo breve di 5 anni. In attesa che il mercato trovi delle soluzioni. E proprio su questo punto che invece alcuni eurodeputati hanno lanciato l’allarme, come il socialista Eric Andrieu presidente del Comitato per la valutazione dei pesticidi: “Le alternative al rame rimangono molto limitate e attualmente non soddisfano la domanda di 500 milioni di consumatori. A breve termine, è in gioco la sopravvivenza di gran parte delle aziende vinicole europee, in particolare la cantina biologica. La Commissione e gli stati membri devono tenerne conto nel processo decisionale”.

Pinton (Assobio): “Nel biodinamico è già vietato”

Nei mesi scorsi abbiamo registrato il parere di Roberto Pinton, esperto del settore e consigliere delegato di Assobio, che tende a ridimensionare l’allarme:  “Il fatto che si possa usare non vuol dire che l’agricoltore biologico lo debba usare. Non solo. Pure chi sceglie di usare questo tipo di trattamenti deve rispettare i limiti d’impiego, i quantitativi per ettaro e via elencando. Non dimentichiamoci poi che nel biodinamico, un settore dell’agricoltura biologica, l’impiego di pesticidi naturali è vietato e quindi non viene usato nemmeno il solfato di rame”.

 
Verderame, l'Ue propone di limitarne l'uso: ecco perchè


https://www.giornaledibrescia.it/blog/verde-passione/verderame-l-ue-propone-di-limitarne-l-uso-ecco-perch%C3%A8-1.3288125

Il 19 e 20 luglio la Commissione Ue proporrà agli stati membri un giro di vite sugli anticrittogamici a base di rame, utilizzati dal XIX secolo in agricoltura ed essenziali per quella bio, in particolare la viticoltura. Si tratta di sostanze che dal 2015 sono candidate alla sostituzione nel quadro delle regole Ue sui chimici, per il loro impatto sull'ambiente.

L'attuale licenza scade nel gennaio 2019 e, secondo fonti vicine al dossier, la settimana prossima Bruxelles proporrà un rinnovo dell'autorizzazione per 5 anni con riduzione dei limiti di utilizzo da 6 a 4 kg all'ettaro l'anno.

«I sali di rame sono l'unico prodotto efficace previsto dal metodo bio per il trattamento di alcune malattie», ricorda Bernard Farges di Efow, l'organizzazione dei produttori di vini Dop, Igp e biologici, che chiede di mantenere i limiti attuali. «Sono consapevole dell'importanza di queste sostanze per gli agricoltori, in particolare i produttori bio - ha commentato il commissario Ue competente Vytenis Andriukaitis - ma la mia priorità è proteggere la salute e l'ambiente».

Con il nome verderame vengono anche chiamati la poltiglia bordolese, gli ossicloruri di rame, il gluconato di rame, l'idrossido di rame. I prodotti a base di rame interferiscono con la respirazione delle cellule dei funghi (peronospera, ticchiolatura, mal bianco) ed è quindi un funghicida ad ampio spettro. Sono utili anche contro alcune batteriosi.

Il metallo però - per quersto l'Ue vuole limitarne l'uso - è tossico: si deposita nel terreno creando rischi per l'acqua, la terra e i microorganismi. In particolare aumenta il rischio di batteri resistenti agli antibiotici. L'obiettivo di Bruxelles quindi è limitarne l'uso trovando alternative.


Il rame in agricoltura, tossicità ambientale e preoccupazioni

https://www.toscanachiantiambiente.it/il-rame-in-agricoltura-tossicita-ambientale-e-preoccupazioni/

Venerdì 22 novembre all’Accademia dei Georgofili una giornata di studio e riflessioni sull’uso del rame per la protezione delle piante.

FIRENZE – L’uso del rame in agricoltura è assai controverso e suscita interesse sia tra gli addetti ai lavori che nell’opinione pubblica. Per questo motivo l’Accademia dei Georgofili ha ritenuto opportuno organizzare una giornata di studio specifica che avrà luogo venerdì 22 novembre dalle ore 9,30. L’obiettivo è di trovare un compromesso tra l’uso di composti a base di rame, ancora molto richiesti da alcuni tipi di agricoltura per la protezione delle piante dai parassiti, e la tossicità ambientale del rame. L’Unione Europea ritiene infatti che l’accumulo di rame nei suoli, coltivati con specie vegetali trattate con composti a base di rame, sia tale da imporre soglie quantitative al suo uso; soglie che stanno destando preoccupazione.

La Giornata di studio vuole far conoscere le possibili strategie per un intervento sulle piante sempre più in linea con la salvaguardia della salute dei consumatori e la sostenibilità ambientale. La partecipazione è riservata a coloro che si saranno registrati entro mercoledì 20 novembre su: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Il programma prevede gli interventi di Rita Perria,“Strategie proposte nel progetto Life GreenGrapes per la riduzione dell’uso del rame in viticoltura”; Luisa Manici sull’effetto a lungo termine del rame sulle comunità microbiche dei suoli;  Stefano Cesco, “Il rame nei suoli agricoli: elemento nutritivo o tossico”; Ilaria Perto, “Tecniche e soluzioni alternative per la riduzione del rame in viticoltura”;  Stefania Tegli, “La difesa innovativa ed ecocompatibile delle piante dalle malattie: la scienza al servizio di economia ed ecologia, senza ideologia”; Eugenio Sartori , “Varietà di vite resistenti alle malattie e rame: opportunità e limiti”.

Fonte: Accademia dei Georgofili


Ecco dove e quando si usano i metalli pesanti nel campo alimentare!

 


Contenitori in alluminio e rame per l'olio


Contenitori in alluminio e rame per alimenti


Strumenti in alluminio e rame per alimenti

Pentole in alluminio e rame per alimenti 


Pentole in alluminio e rame da ristorante


Contenitore per la preparazione dei atticini


Contenitore per la preparazione del torrone e vari


Trabiccoli per la preparazione della cioccolata


Caarta di alluminio per alimenti

Trafilatore in bronzo e rame per la produzione della pasta


Macchinetta in alluminio per il caffè


Capsule in alluminio con caffè


Contenitori in rame per la produzione della birra
Il_contenitore_per_la_birra_3.jpg

Il_contenitore_per_la_birra_2.jpg

Gioielleria e bigiotteria costruita con rame, alluminio etc.

Un po di ossidi al giorno e tutti i medici intorno,
con le varie patologie la vita ti si accorcia.


Rosario Muto

Valutazione attuale: 5 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella attiva

Rosario Muto


Antonio Maria Pasciuto: cittadini e medici devono sapere di più sulle malattie ambientali
https://wisesociety.it/incontri/antonio-pasciuto-cittadini-e-medici-devono-sapere-di-piu-sulle-malattie-ambientali/

Il medico e collaboratore dell'European Academy for Environmental Medicine ci mette in guardia: in Italia c'è poca conoscenza sulle conseguenze delle sostanze tossiche e sulla possibilità di verificarle con strumenti diagnostici adeguati. Per questo occorre formare e informare la classe medica, ma anche la gente comune, a partire dai bambini

Antonio Pasciuto

Sui danni causati dalle sostanze inquinanti si sa ormai molto, ma è necessario fare un salto di qualità perché queste informazioni diventino patrimonio comune e uno stimolo per uno stile di vita più consapevole. Antonio Maria Pasciuto, medico che da trenta anni lavora a Roma, per trovare le risposte ai suoi interessi in materia di medicina ambientale è dovuto andare in Germania. Ma è convinto che anche da noi sia possibile un cambiamento, facendo leva prima di tutto sulla formazione dei medici per sensibilizzarli ai problemi delle malattie ambientali e poi ricorrere ad analisi cliniche che valutino la presenza di sostanze tossiche nell’organismo.

Ci dà una definizione di medicina ambientale?

Si tratta di quella branca della medicina che si occupa delle patologie che hanno come causa o concausa fattori di tipo ambientale.  All’inizio, l’ambito era quello della medicina del lavoro, che si occupa soprattutto dell’impatto di sostanze nocive sulla salute del lavoratore nelle realtà urbane a maggiore tasso di concentrazione industriale. Oggi si può continuare a parlare di malattie di tipo professionale ma, rispetto a trenta o quaranta anni fa, il problema si è esteso anche al comune cittadino che quotidianamente ha a che fare con acqua, suolo, aria inquinati e che accumula nell’organismo sostanze nocive. Per nostra fortuna, l’essere umano ha dei meccanismi che gli consentono di smaltire una parte di questi elementi tossici.

foto di GS/flickr

Lei si occupa in particolare dell’applicazione di strumenti diagnostici per capire se un paziente presenta sintomi da contaminazione ambientale. Ci spiega che cosa vuol dire?

Se da un lato oramai esiste una serie numerosa di studi scientifici che evidenziano i carichi inquinanti relativi all’acqua, aria e altri fattori, dall’altro manca la possibilità di indagare su quanto di queste sostanze nocive arrivino all’uomo,aprendo la strada alla prevenzione e a terapie specifiche. In definitiva non è stato fatto il salto dalla medicina ambientale alla medicina ambientale “clinica”. Se il medico, dopo attenta analisi, volesse verificare le conseguenze all’esposizione di sostanze tossiche attraverso l’indagine clinica sui liquidi biologici (urine e sangue), di un paziente, avrebbe serie difficoltà a farlo, almeno nel nostro Paese, perché mancano i laboratori dove fare le analisi. Se si sospetta del diabete non si fa che misurare la glicemia e così dovrebbe essere fatto se il medico pensa che l’asma di un bambino dipenda da contatti con muffe o con la formaldeide dei mobili o da prodotti chimici usati nei detersivi.

Image by © Jim Craigmyle/Corbis

Ci può fare alcuni esempi pratici sull’utilità di questo tipo di analisi e in quali settori potrebbe essere applicata?

Di esempi se ne possono citare molti. Il Parkinson, ad esempio, si è visto che non colpisce solo gli anziani ma più di recente anche fasce di giovani, e molti studi scientifici hanno dimostrato che le malattie neurologiche degenerative possono insorgere anche per l’esposizione a sostanze chimiche.  Il titanio usato in odontoiatria va bene, ma in alcuni pazienti può creare fenomeni tossici con infiammazioni croniche che comportano un rigetto abatterico di impianti costosi. E questo vale anche in ortopedia. Per i casi di sterilità maschile è conclamato che essi possono dipendere dal contatto con elementi nocivi, i cosiddetti distruttori endocrini. Ci sono poi situazioni come quella recente dell’arsenico riscontrato nelle acque di taluni comuni del Lazio in quantità elevate, molte volte più del consentito. La soluzione poco etica è stata quella di chiedere all’Unione Europea di alzare i limiti di tolleranza, non pensando che poi le dosi di arsenico si accumulano nell’organismo. Si può citare anche il caso del poliformismo genetico cioè un corredo genetico alterato che può causare una minore capacità, da parte di un individuo rispetto ad un altro, di smaltire la contaminazione di sostanze tossiche con condizionamenti per la salute. In tutti questi casi, con semplici analisi, sarebbe possibile indagare a fondo su alcune patologie o prevenire conseguenze dannose per la salute.

E qual è la situazione del nostro Paese?

Per saperne di più

Per stare bene, occhio alle nanoparticelle!

Medicina ambientale: è nata l'associazione che informa medici e cittadini

Di fatto in Italia non esistono laboratori di analisi dove poter effettuare questo tipo di indagini. Qualcosa comincia a muoversi nel nord Italia per alcuni tipi di analisi, ma sono casi molto sporadici. A me è capitato più volte di mandare i prelievi in Germania, dove queste indagini si possono fare, nei casi in cui volevo approfondire la situazione di un paziente. La questione però va affrontata a monte: ossia non ci sono medici che chiedono queste analisi perché semplicemente non ne sono a conoscenza. Di conseguenza, per i laboratori non esiste domanda e quindi non si attrezzano per effettuarle.

Cosa si può fare per invertire la tendenza e per accrescere il livello di sensibilizzazione tra i medici?

Ci sono scambi di informazioni scientifiche su questi argomenti a livello internazionale, su internet e riviste di settore, ma la svolta dovrebbe riguardare la formazione dei medici. Un medico che si laurea oggi non è quasi a conoscenza di patologie di natura ambientale perché il piano di studi della laurea in medicina di fatto prevede pochissimi esami che affrontano queste tematiche. Lo sforzo dovrebbe essere nella formazione scientifica da parte delle università perché il medico possa avere gli strumenti per verificare a fondo certe sue ipotesi e dare una risposta scientifica ai dubbi del cittadino.

Foto di eutrophication&hypoxia/flickr

Ci sarebbero vantaggi sociali ed economici anche per il sistema paese con una prevenzione sanitaria sulle malattie ambientali?

Solo la riduzione all’esposizione a sostanze tossici potrebbe far diminuire talune malattie e di conseguenza anche l’uso di alcuni farmaci con una convenienza per il sistema sanitario nel suo complesso.  Non dimentichiamo però che esiste un conflitto d’interessi nel mondo commerciale e spesso le multinazionali che vendono pesticidi per l’agricoltura, producono anche le medicine.

Ci sono Paesi all’avanguardia su queste tematiche e quali strumenti di prevenzione hanno adottato?

Posso citare il caso della Germania perché lo conosco bene. In quel Paese esiste un’associazione che si chiama Bund dove lavorano biologi, medici, chimici, sociologi, fisici, e che viene sempre consultato dal Parlamento prima che siano promulgate certe leggi per evitarne l’eventuale boicottaggio. Perché il Bund è così autorevole che l’opinione pubblica e i consumatori seguono attentamente i dossier e i pareri scientifici che emette di volta in volta. Di fatto è una questione di cultura e di consapevolezza del cittadino perché in Germania, di fronte ad un’ipotesi di sostanza inquinante con cui il consumatore potrebbe venire a contatto, si vuole capire e approfondire. Ma penso che anche qui da noiil livello di sensibilità e di conoscenza sia accresciuto e gli italiani non vedano l’ora di trovare una struttura che dia una risposta scientifica e indipendente su una serie di domande così importanti.Personalmente, avendo la fortuna di conoscere il tedesco e non avendo trovato nulla in Italia su questi temi, lavoro con un’associazione tedesca, l’European Academy for Environmental Medicine che si occupa di medicina ambientale.

L’organismo europeo di cui lei fa parte che cosa si propone di fare?

Prevalentemente si occupa di formare e di aggiornare medici attraverso corsi tenuti da docenti qualificati che arrivano da tutta la Germania e non solo. L’obiettivo è che questa attività di formazione si possa diffondere in tutti i Paesi europei. Per quel che mi riguarda, sto cercando, con molte difficoltà, di organizzare corsi anche in Italia e in Spagna, nazione dove il livello di attenzione è un po’ più alto rispetto a noi. L’associazione tiene inoltre congressi annuali e internazionali: per esempio l’ultimo ha riguardato le nanoparticelle ovvero componenti creati dalla tecnologia al di sotto del micron che si possono trovare nel dentifricio, nelle creme solari o nelle pareti della bottiglia del ketchup perché consentono un miglior scivolamento del prodotto. Senza informare che queste nanoparticelle possono finire in organi come i polmoni o il cervello con tutte le conseguenze del caso. Insomma vanno bene la tecnologia e i benefici del progresso, ma che questo non comporti un’accettazione passiva di elementi nocivi che possono creare danni per la salute.

foto di Argonne National Laboratory/flickr

Ma non ci sono leggi a riguardo?

Il legislatore ha sicuramente un compito difficile, ma i limiti posti dalla legge sono generici e non possono tener conto se l’elemento tossico è assunto da un anziano o da un bambino o da una persona che ha già altre patologie. E poi la normativa fa riferimento ai limiti per una singola sostanza tossica, ma noi la mattina quando usciamo di casa non ci mettiamo in contatto mica solo con il benzolo…insomma c’è anche il problema dell’ accumulo di diversi elementi tossici. Inoltre, spesso, la legislazione si basa su studi di settore condotti da istituti non indipendenti: cito il caso dell’elettrosmog, dove le indagini sono fatte per l’80/90 percento dalle aziende che vendono energia.  In conclusionegli studi dovrebbero essere svolti da enti autonomi, l’informazione dovrebbe essere scientificamente corretta e l’opinione pubblica avere una maggiore consapevolezza. Tutto questo per sollecitare le istituzioni e le parti politiche ad assumere decisioni in difesa della salute.

C’è qualcosa che possiamo fare da subito, nel nostro quotidiano, per migliorare questo stato di cose?

Sì, in due direzioni: la formazione ai medici e l’informazione ai cittadini. I medici informati sarebbero così in grado di prescrivere anche quelle analisi che da noi oggi non è possibile fare. Sul secondo fattore si dovrebbe ripartire dai bambini di una certa fascia di età: penso a quelli delle scuole elementari perché sono i più ricettivi e spesso trasmettono a casa e in famiglia i nuovi concetti del vivere, dall’alimentazione corretta alla raccolta differenziata. Sono convinto che un cambiamento nella sensibilità al problema ambientale possa partire solo dalla base, da cittadini e medici, insomma, che chiedono di saperne di più.

Rosario Muto

 

Valutazione attuale: 5 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella attiva

Rosario Muto

Dott. Antonio Maria Pasciuto, medicina ambientale, "metalli pesanti".
Di cui e soprattutto medicina quantistica e epigenetica.

https://www.youtube.com/watch?v=FBZ1fr2Ocik

Medicina Ambientale Clinica: disciplina moderna e trasversale al servizio di una diagnosi eziologica. Impatto sulla salute sociale dalla Sensibilità Chimica Multipla alle patologie degenerative”
Con il termine di Medicina Ambientale si intende quella branca della medicina che si occupa di prevenzione, diagnosi e trattamento delle patologie che possono essere messe in correlazione con “fattori ambientali”. Gli organismi viventi sono dei sistemi aperti, in continuo contatto cioè con l’ambiente in cui vivono, ed esposti quindi ad innumerevoli influenze di ordine fisico, chimico e biologico.
Tale contatto va inteso come un interscambio che l’organismo vivente cerca di regolare ai fini del mantenimento del proprio stato di salute, di una situazione cioè che gli consenta di compiere in maniera corretta tutte le proprie funzioni. Soprattutto nelle civiltà cosiddette industrializzate le ragioni per cui un organismo vivente si ammala vanno ricercate a mio avviso per la maggior parte in cause di tipo ambientale. L’enorme aumento delle patologie croniche registrato negli ultimi anni lo si può sicuramente attribuire agli effetti del carico tossico ambientale cui ognuno di noi è quotidianamente sottoposto. Pochi si rendono conto che negli ultimi cento anni l’uomo ha modificato completamente l’ambiente contaminando l’aria, il suolo e l’acqua con sostanze chimiche di sintesi, prodotte cioè in laboratorio, e fonti elettromagnetiche. Il sistema Terra non riesce più a smaltire queste sostanze e gli esseri viventi, tra cui l’uomo, vengono continuamente a contatto con esse, assimilandole. Si calcola che ognuno di noi si imbatta in almeno 500 sostanze sintetiche ogni giorno! Il corpo umano non ha fatto in tempo, in soli 100 anni, ad evolversi per vivere bene in questo nuovo ambiente e sono in grande aumento malattie quali la Sensibilità Chimica Multipla, il cancro, le allergie, e anche patologie neurodegenerative come il Parkinson, l’Alzheimer. Tutte le patologie croniche e gran parte dei disturbi funzionali sono dovuti ad un insieme di cause (si parla di patologie multifattoriali), e la gran parte di queste cause sono di origine “ambientale”. Compito del medico è principalmente quello di arrivare a formulare una diagnosi, che non sia una diagnosi semplicemente descrittiva di sintomi o di eventi morbosi, ma che sia una diagnosi eziologica. Solo così il medico potrà prescrivere una terapia specifica, indirizzata a rimuovere le cause che hanno determinato la patologia. La Medicina Ambientale ci dà modo di intraprendere questo cammino, ipotizzando prima, e dimostrando successivamente (grazie a nuove e moderne indagini di laboratorio e rilevazioni ambientali) il ruolo che i cosiddetti fattori ambientali esercitano nel determinare le varie patologie.

Rosario Muto